CalcettoSemifinali: ancora qualche giorno e sapremo

Semifinali: ancora qualche giorno e sapremo

– di FEDERICO VECCHIO –

Chissà come sarà stato quel dialogo, qualche tempo fa, tra il patron della squadra Murino e Murino stesso. Sarei curioso di saperlo. Perché quel dialogo, o meglio, i suoi esiti, hanno avuto, sul Torneo, conseguenze decisive.
Mi immagino la scena: Rezza, camminando, che, con tono fermo, di quello che sa quello che dice e prevede il futuro, indica a Murino, che lo segue dappresso, la necessità – forse, chissà, per il bene del gruppo – di abbandonare al suo destino il Bronzo di Gioia Tauro. Magari motivando la sua scelta con un “corre corre, ma non la passa mai” per poi lasciare la frase sospesa lì, a mezz’aria, per renderla ancora più grave, passando quindi ad altro, come vate che ha pronunciato la sua sentenza. Di là, un Murino, che immagino viceversa perplesso, che, cercando di tenere il passo, prova a sindacare le motivazioni di Rezza, cedendo, poi, di fronte a tanta insistenza, facendo confusione tra l’esperienza del mercato immobiliare, indubbia, che tutti riconoscono al nostro, e l’inesperienza calcistica, davvero malcelata, che, viceversa, quest’ultima scelta tanto dissennata vieppiù conferma.
Sta di fatto che, oggi, quel Bronzo di Gioia Tauro, che risponde al nome di Mino Catalano, trattato come Evra al tempo in cui venne scartato dal Marsala, entra, a pieno titolo, in finale, mentre Rezza, per l’ennesimo anno consecutivo, troverà posto sugli spalti, ma solo se arriverà con un po’ di anticipo rispetto al fischio d’inizio, perché sabato già si prevede il tutto esaurito.
Da qui dobbiamo partire, da questa storia fatte di gioie e fallimenti umani, se vogliamo capire quali e quanti significati abbiano avuto le semifinali disputate ieri sera. Perché se, sulla carta, le vittorie di Filosa, su Fabbricini, per quattro ad uno, e quella di Celani, su Picciotti, per cinque a due, sembrerebbero confermare che le cose del pallone siano andate secondo logica, in realtà dicono molto altro, e raccontano di storie che, all’inizio di questo torneo, tutti pensavano avrebbero avuto ben altro finale.
Ci siamo lasciati, dopo i quarti, con la meravigliosa parabola di Bruno Ripandelli, il calciatore che non ti aspetti. E che invece ti ritrovi, ancora una volta decisivo, nella vittoria della H. Filosa: suo difatti, il gol del due a zero che ha messo a distanza di sicurezza i Fabbricini, guidati da Ivanko (in quanto figlio, di sesso maschile, del Presidente) Fabbricini. Ma, e soprattutto, la finale conquistata dall’H. Filosa ha il suo eroe, tra una pattuglia di indomabili – fatta del monumentale Tartaglia (che para e segna), Mescolini, Vavalli, lo stesso Ripandelli, il Bronzo di Gioia Tauro – in Alessandro Maspes. E’ lui, difatti, il Luis Enrique del Lungotevere dell’Acqua Acetosa. E’ lui l’uomo che, lo scorso anno, a fine carriera, incredibilmente faticava, e non poco, dopo quel pò pò di passato calcistico, a trovare posto in questa o quella squadra. E’ ancora lui, invece, che oggi si è vista affidata la guida tecnica, da un presidente tanto abbiente (come Rezza) quanto cosciente (al contrario di Rezza) dei propri limiti di competenza calcistica, di una squadra non data per favorita, con giocatori visti sempre un po’ così, che tutto sommato, quando ti giocano contro, non li temi, e che ti inventa tatticamente una serie di partite da studiarle a Coverciano.
Si, è vero, mi si dirà che con Tartaglia in porta avrebbe potuto vincere lo scudetto anche la Roma di De Nadai, ma la verità è che Maspes ha creato un sistema di gioco, fatto di ripartenze ed appoggi su due eroi di periferia calcistica, come Ripandelli e Catalano, che tanto ha ricordato la sistemazione in campo del Leichester di Ranieri. E adesso gli manca davvero l’acuto finale per ripeterne le gesta.
Non sappiamo, però, se augurarci che l’H. Filosa trionfi nella finale di sabato, perché questo potrebbe dire, con estrema probabilità, l’allontanamento – volontario, sia chiaro – di Rezza dal Circolo per lungo tempo. Come potrebbe superare, difatti, l’onta di vedere trionfare non solo il calciatore da lui prima mobbizzato e poi tagliato, ma soprattutto quella di un Maspes che lui ha sempre ritenuto, per imperscrutabili ragioni che non è dato capire, meno competente e meno capace di lui nel gioco del calcio, non sapremmo dirlo. La verità, purtroppo, è una sola, e cioè che, semmai sabato dovessero vincere i monegaschi, accingiamoci a vedere un nuovo episodio di “In Treatment”, dal titolo “Riccardo: mercoledì ore 17”.
Dalle storie raccontate dalla prima semifinale, passiamo a quelle raccontate dalla seconda.
La prima tra queste, più che una storia, è ormai una leggenda sportiva, che risponde al nome di The Wall Lirosi, che non è più solo il nome di un calciatore, ma di qualcosa di più, di un protagonista di una serie, come Ethan Hunt. L’abbiamo scritto mesi fa, quando ancora la primavera sembrava un miraggio, e lo confermiamo oggi, che già si corre per destinare i pochi risparmi rimasti a copertura dei costi di rimessaggio:  per la squadra avversaria, il campo non finisce dove si trova la linea di fondo, ma finisce prima, molto prima, li dove ci si imbatte in Lirosi. Perché, oltre Lirosi, non c’è più niente. Non ci sono, difatti, palloni che passano. Non ci sono, ancora, avversari che riescano ad andare oltre. Non c’è nulla. C’è solo un portiere, il suo, che sta li, laggiù, solo, anche un po’ annoiato, ad aspettare che Lirosi esca qualche minuto per rifiatare, così da dare un senso alla sua presenza in campo.
E questo è quello che è successo ancora ieri sera, quando a quel Lirosi, a quel solo Lirosi, ha fatto eco Riccardo Fabbri, figlio della moglie di Massimo Fabbri, che ha segnato una tripletta meravigliosa, a suggello di una prestazione, altrettanto meravigliosa, che non è stata figlia unica in questo torneo.
Ed è evidente che, di fronte a tutto questo, poco hanno potuto i ragazzi di Yuri Picciotti, soprattutto in questi giorni in cui in loro presidente, capitano, guida, non è potuto scendere in campo.  Sarebbe stata un’altra partita con Yuri sul terreno di gioco? Non c’è dubbio: si.
Ma quest’anno è andata così. Il prossimo, invece, con Yuri di nuovo in campo, siamo sicuri che ci troveremo qui, di nuovo, ancora una volta, a scrivere di un’altra storia. Aspettando, intanto, che sabato ci sveli il nome, che il Torneo sta tenendo segreto ormai da mesi, di quello che sarà il vincitore assoluto. E qualche sospetto su chi sia, a tre giorni dalla finale, stasera che siamo qui, a scrivere questo resoconto su ciò che è stato, iniziamo ad averlo.