Vecchio scarpinoQuante storie in una partita

Quante storie in una partita

Ci sono vittorie per le quali la difficoltà è trovare le parole. Dovresti inventarne di nuove, per provare, ma solo per provare, a descrivere quello che è difficile da descrivere. A provare a raccontare una giornata di emozioni che è più facile provare che spiegare. Ma questo è il ruolo che mi è stato assegnato, e provo a spiegare cosa significhi, stasera, oggi, aver vinto una finale della Canottieri Lazio battendo il Canottieri Roma per 6 a 4. Con tante storie dentro questa partita. Che ci vorrebbero giorni e giorni per raccontarle, ad una ad una. Ma prima di passare all’analisi dei singoli, questa partita può essere riassunta in tre immagini, che mai usciranno dalla memoria di chi c’era: il ginocchio di Lirosi, quel ginocchio ormai stanco anche di fare una rampa di scale per salire ad un qualunque primo piano, che ci ha indicato la strada, tenendoci aggrappati ad una partita nella quale sembrava che gli avversari potessero segnare tirando da dovunque; l’implosione di gioia di Minnetti, che ha raccolto dentro di se più felicità di quanta un maschio alfa, caucasico, potrebbe avere nel minuto stesso in cui Belen gli dicesse “stasera resto a dormire da te”; il sangue di Di Bagno, a macchiare il suolo di quel campo, stasera, dopo che si era prodotto una ferita con gesto virile, a cancellare offese, rivoltegli da un avversario, con cui gli veniva contestata una superiorità di stile e di modi, come se per giocare ai suoi livelli servisse una rozzezza di cui mai ha avuto necessità in tutta la sua vita.

Ma veniamo a noi.
Tavano: la partita di stasera lui l’aveva già giocata. Lui l’aveva già vista. In due giorni ce l’ha spiegata, ce l’ha raccontata minuto per minuto, mostrandoci cosa avrebbe fatto il temibile e temuto Minicucci, spiegandoci ogni sua abitudine, arrivando quasi a raccontarci quali libri leggesse, quali film vedesse, cosa mangiasse per primo, se preferisse latte di soia o scremato. Tutto, insomma. Che stasera, chiunque di noi abbia incrociato anche per un attimo Minicucci, l’ha sentito come persona di casa, a cui chiedere la cortesia di comprare il pane per pranzo, che tanto, a questo punto, anche domani si starà insieme quantomeno per mangiare una cosa, ora che ci conosciamo così bene. Questo successo è suo, è della sua bravura, della sua tenacia, della sua convizione, della sua prudenza, della sua attenzione. E’ suo. Ed è suo più di chiunque altro. Voto 10.
Malagò: Di Bagno (vedi intra, sotto la voce “Di Bagno”) era a terra sanguinante. Lui, in quel momento, è entrato in campo, scavalcando panchina, compagni, rete di recinzione, avversari. Tutto ci aspettavamo che soccorresse l’amico ferito, esamine. Ed invece no. In quel momento, il gesto più alto: scavalcava con una gamba sola ciò che restava di Di Bagno, e si avventava, con fare educato ma deciso, sulla coppia arbitrale, reclamando la segnatura ingiustamente annullata a Perrone. In quel momento, in quel preciso momento, si è capito che la partita sarebbe stata nostra, perché quella giovane coppia di arbitri ha compreso, in un attimo, che tutto è concesso nella vita, ma non sbagliare al punto da far calpestare, al Nostro, il corpo abbandonato di Di Bagno per reclamare ciò che, evidentemente, era gusto che fosse. Ed è li che la squadra ha capito che non ci sarebbe stato più tempo, più palloni, più nulla per gli avversari. E così fu. Voto, va da sé, 10 e lode.
Bolla: sa di essere fortissimo. E lo sa perché lo è. Ha capito, nel corso della semifinale, che la ragione per cui Tavano non lo avesse schierato non poteva essere addebitata ad una sua qualche mancanza. Ha riflettuto a lungo in questi giorni. E poi ha capito. Ha abbandonato la maglia numero 8, che evidentemente Tavano ritiene porti sfortuna, ed ha lasciato che la vestisse Morra, prendendosi una più anonima 16. Sta di fatto, superstizione o non superstizione, che, per la seconda partita, Tavano, quello con l’8, non l’ha fatto entrare. E questo dimostra quanta intelligenza alberghi in Bolla, che ha capito, del calcio, anche questo. Voto 10.
Perrone: stasera non avrebbe perso nemmeno uno spillo buttato nel lago di Bracciano: l’avrebbe ritrovato, in pochi secondi, buttandosi senza maschera. Stasera è quello che ha fatto. Non ha perso un pallone, non ha perso un contrasto, non ha perso convinzione, non ha perso, soprattutto, la partita. Perché la vinta. E’ sempre gioia, si, gioia, vederlo giocare. E stasera lo è stata ancora di più. Voto 10.
Meliti: esistono i momenti in cui le cose possono accadere. Poi esistono i momenti in cui non devi farle accadere più. Questi sono stati i due suoi tempi di questa sera. Ma quello che contava era il secondo, e li, in quei sette minuti iniziali, ha arginato l’assedio. Ed è questo quello conta. Voto 10. 
Minnetti: la sua felicità è la felicità di tutti noi. Perché una finale si può perdere da protagonista. Ma un’altra si può vincere da protagonista. E si può vincere contro i tuoi fantasmi. Per tutto il resto c’è MasterCard. Per una gioia così grande, che resterà impressa nella sua anima, no. Voto 10.
Lirosi: se non avesse giocato quel primo tempo, se non c’avesse presi per mano quando si era spenta la luce, stasera staremmo a pensare ad altro. C’ha creduto, dal primo allenamento a qualche giorno dall’esordio al Bottai, ed ha coronato il suo sogno: vincere la Lazio, segnando gol importanti, come uomo partita. E’ il più bel regalo che ha fatto a se stesso. Ed un regalo che, per chi lo conosce, stramerita: perché è la vittoria della tenacia, della passione, del coraggio. E’ tutto suo questo giorno. Ed è giusto che se lo goda fino in fondo. Voto 10.
Cesaroni: stasera era in campo. E, quando è entrato, ho pensato a quanto fosse lontano da quel momento appena qualche giorno fa, così pieno di dubbi. Stasera ha dimostrato di essere quello che sapevamo che fosse. Ha speso minuti e contrasti, guadagnato palloni e spallate. Anche per lui, questa vittoria, ha un sapore bello e diverso. Voto 10.
Di Bagno: da parlarne ai bambini. Da fari una serie tv. Quel gol, quel gol pesante come tonnellata sul vetro, ci ha dimostrato che lui è tutto quello che serve per poter dire che hai visto giocare uno che è il calcetto. Io non lo so quanti palloni gli ho visto non sbagliare mai, quante corsa senza un lamento, quanto voglia di vincere. E quando Minicucci, ironia della sorte, l’ha abbattuto con una testata che nemmeno al semaforo, è bastato che passero solo pochi minuti che si rialzasse, ricucito alla bene e meglio, per accomodarsi in panchina senza emettere un gemito, con passo felpato, come se la testata presa non riguardasse lui, ma qualcun’altro. Stasera c’è solo da alzarsi in piedi, tutti insieme, e dirgli grazie. Voto 10.
Conte: la sua è la felicità di Pruzzo, quando si vinceva ma non segnava. E’ la felicità di Riva. E’ la felicità di Gerard Muller. E’ la felicità di chi vive per la porta avversaria. Ma è la felicità di un giocatore che vive per questa maglia, da settembre a luglio. Sempre. Che lotta la davanti come se fosse solo, a combattere per cercare un minuto ancora di vita. E’ insostituibile. Ed ogni volta lo scrivo mettendo in fila tutti i gol che gli ho visto fare con i nostri colori. Voto 10. 
Rocco: non entrare è dura. Soprattutto per chi, come lui, su quel campo ha vinto più di quanto io sia andato a prendere un caffè da Ruschena, che ce l’ho a due passi da studio. Ma ha dato dimostrazione di forza, carattere, personalità. Perché è difficile essere forti sul campo. Ma è molto più difficile esserlo quando la palla sta li, ad un metro, il campo sta li, ad un metro, la partita della vita sta li, ad un metro, e non riesci a giocarla. E’ un pilastro di questa squadra. E da sempre. Voto 10.
Abodi: ad averne con il suo carattere, la sua passione, la sua disponibilità. Stasera ha vinto. Ed ha vinto perché c’è sempre voluto stare, non ha mai mollato un attimo, non si è mi fatto da parte. Un leone. Voto 10. 
Morra: la colpa per cui non  è sceso in campo è del numero che portava. La colpa è di Bolla, non sua. Friggeva a vedere Minicucci muoversi come pesce in un acquario. Friggeva, perché sapeva che, se fosse entrato, gli avrebbe tolto tutta l’acqua. E’ grande anche nell’attesa. E’ un giocatore vero. Con lui sai per certo che puoi stare senza pensieri. Voto 10. 
De Petris: questa vittoria l’ha costruita da lontano. Questa serata l’ha costruita da lontano. C’ha pensato ogni giorno. Ed ogni giorno ha impiegato tempo ed energia. Ed ha trovato il modo anche di scendere in campo, di prendere quella palla che Lirosi gli ha appoggiato e scaraventarla in rete. In quel momento si è liberato di un rospo in gola, e ha raccontato, per primo a se stesso, di esserci ancora. Questa partita era lo specchio in cui doveva vedere riflesso se stesso, per capire chi fosse. Si è visto. Ed ha capito di essere un gigante. Voto 10. 
Maffei: essere nella gabbia, in borghese, a vivere attimo per attimo questa finale, è la dimostrazione di come ci siano, intorno a noi, persone che hanno qualcosa di più. E Marco, stasera, l’ha dimostrato, e, soprattutto, ci ha trasmesso, con la sua presenza, voglia e convinzione. Che non sono mai abbastanza per delle partite come questa. Voto 10.